Volere è potere. Davvero?

VOLERE È POTERE. DAVVERO?

Le frasi fatte, le credenze, i vecchi proverbi non sempre ci azzeccano. Diciamo che un sano buon senso aiuta, ma scandire il ritmo della propria vita a suon di aforismi e sentenze non permette di evolvere (a patto di volerlo, naturalmente. Appunto).

Tra tutti i condensati di amenità del patrimonio lessicale a livello mondiale, “volere è potere” è da sempre quella che mi mette più in imbarazzo. Ancora oggi, quando la sento, rabbrividisco. Mi scatta un allarme nella testa. “Bip Bip! Bip Bip! Attenzione, qualcuno sta cercando di abbindolarti! Bip Bip!”
Sarà perché da bambina me la sono sentita ripetere così tante volte -soprattutto a scuola- che a un certo punto ho creduto di non essere in grado di volere. Eppure volevo. Eccome se volevo. Insomma, pensavo di non essere capace di volere oppure, peggio, mi ero convinta che io stavo nella schiera di quelli a cui non era concesso volere.
Per esempio, volevo vederci bene senza occhiali, come molti dei miei amichetti. Scoperto che non si poteva, volevo mettere le lenti a contatto, come alcuni tra i miei amici occhialuti, ma mi hanno detto che io non potevo (ipermetrope e astigmatica). E via così, su questo e altri temi.
Da quel momento, ho intuito che questa asserzione tanto cara a molti, era una gran bufala. Non è vero che volere è potere. Semmai, è il potere che ti permette di volere. Ma questo l’ho compreso solo molti anni dopo e comunque è un’atra storia.
Proviamo a pensare un istante a quando usiamo o sentiamo questa frase. Quando ci si riferisce a qualcuno che “ce l’ha fatta”, che ha avuto successo, che è guarito da una lunga e penosa malattia. In sostanza, quando qualcuno la spunta sul “destino”, mi verrebbe da dire.

Ricorriamo a questo mantra quando, nella nostra visione delle cose della vita, qualcuno ha ottenuto ciò che piacerebbe ottenere a noi oppure, semplicemente, ha guadagnato ciò che riteniamo l’emblema di una posizione sociale di alto livello.

Così facendo, assolutamente al netto di qualsiasi forma di consapevolezza, ci infiliamo dentro un cul de sac con tutte le scarpe. Ci auto-confiniamo in una situazione di inferiorità o di incapacità, se preferite. Sono i talenti quelli che contano. I talenti sono il potere.

E i talenti sono innati, o quasi. È a noi stessi che occorre rivolgere lo sguardo, è su noi stessi che bisogna fissare l’attenzione per ottenere il massimo con ciò che a noi -e solo a noi- è dato fare in quel modo. E lavorarci, coltivarli quei talenti. E poi, semplicemente, metterli al servizio.
È l’atto di volontà che assume la forma del potere. Ma l’atto di volontà deve arrivare da dentro, deve essere un moto interiore, un’istanza percepita quasi a livello fisico.
Il talento degli altri non ci porta da nessuna parte, se non -in qualche occasione- a coltivare nostro. Il nostro potere ci chiama a gran voce da dentro ma le nostre orecchie sono intasate dal cerume dell’ammirazione verso un potere che non avremo mai. Perché non ci appartiene. Conoscere, meglio conoscersi è potere. Ambire al potere di un altro è solo una gran perdita di tempo.
Ma, si sa, l’orto del vicino è sempre più verde. Ops, pardon.

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