Costellazioni: perché ci fanno paura

Le Costellazioni familiari sono uno strumento potentissimo al servizio della nostra emancipazione da credenze e patti d’amore che fanno di noi dei prigionieri transgenerazionali.

La vita di ciascuno di noi è un romanzo. Siamo tutti prigionieri di un’invisibile ragnatela di cui siamo anche gli artefici. Se imparassimo a comprendere e a vedere queste ripetizioni e coincidenze, l’esistenza di ciascuno di noi diventerebbe più chiara, più sensibile a ciò che siamo e a ciò che dovremmo essere […] Siamo in fondo meno liberi di quanto crediamo. Possiamo vivere la “nostra” vita e non quella dei nostri genitori o nonni, cogliendo il proprio destino  ed evitare i tranelli delle ripetizioni transgenerazionali inconsce.

Anne Anceline Schutzenberger (La sindrome degli antenati, Di Renzo Editore)

Molte persone a cui suggerisco di partecipare a un laboratorio di costellazioni (o che amici e colleghi mi inviano perché ritengono che sia un lavoro utile a loro volta per i loro amici e clienti) vivono un profondo disagio, combattuti tra l’accettare l’invito o rifiutarlo.

Tutti coloro ai quali chiedo la ragione di questo timore, forniscono la stessa risposta: «Non mi va di parlare dei fatti miei in pubblico. Mi vergogno».

Comprensibile. Spesso  ci assale un profondo disagio anche al solo ricordi di certi eventi di famiglia. E ancora più frequentemente, è il non detto a provocarci un’ansia inspiegabile. Il non detto è ciò che ci impedisce di essere sereni all’idea di far parte di un laboratorio di costellazioni.

Ma il non detto non è un nostro costrutto, non viene da noi. Ci insegue da anni, se non da secoli. Proviamo anche solo a riflettere per un istante su questa frase: «I panni sporchi si lavano in famiglia.» O su quest’altra: «Quale la pianta, tali i frutti.» O, ancora: «Buon sangue non mente.»

E ce ne sarebbero tante altre. La questione non è se queste massime siano giuste o meno (per lo più hanno senso), quanto piuttosto l’uso che se ne fa, il significato che si dà loro.

Se pensiamo che parlare degli eventi importanti, quelli che hanno segnato la vita nostra e dei nostri avi, sia sconveniente, è perché in noi sono radicate certe credenze, ma la questione è: cosa significa per me che i panni sporchi si lavano in famiglia? Quando qualcuno in famiglia si ammala e muore improvvsamente o prematuramente, non devo parlarne? Oppure, se mio nonno era alcolista e picchiava mia nonna e mia madre (sua figlia), non sta bene raccontarlo in giro? O, se i miei genitori si sono separati perché mio padre ha scoperto che mia madre lo tradiva con il suo migliore amico, è sconveniente che si sappia?

Ognuno di noi ha un vaso di Pandora dentro casa. E questo vaso di Pandora può essere antico quanto il nome stesso della nostra famiglia. Lì dentro ci sono i non detti di ogni generazionie. Alcuni di questi, piccoli e insignificanti, svaniscono, fagocitati da altri più grandi, immensi che, nel corso del tempo e con il succedersi delle generazioni diventano così grandi da sembrare mostri in carne e ossa.

Ci fanno paura. È come quando, da bambini, siamo certi che sotto il letto ci sia il mostro e non riusciamo ad abbandonare la mano fuori dalle coperte per paura che ce la stacchi.

Lo stesso vale con le storie non raccontate, i compiti non portati a termine dai nostri avi, violenze, abusi, soprusi, aspettative malamente disattese che costituiscono le esperienze di vita di altri che ci hanno preceduto. Ma la vera ragione alla base della paura delle costellazioni sta proprio nelle credenze. Le credenze sono quelle certezze tramandate e così radicate da sembrare inconfutabili. Come se quella fosse l’unica realtà, o peggio, l’unica verità possibile.

Se sono convinta che i drammi di famiglia si debbano risolvere o contenere tra le mura di casa o nascondere sotto il tappeto, ricorrendo alla pericolosa ostinazione del silenzio anche tra parenti, è perché per secoli è stato così.

Per secoli, l’unico beneficiario dei nostri racconti è stato il confessore o, al più, il medico di famiglia. Dal primo ci si faceva dare la penitenza e l’assoluzione. Basta sgranare le perle del rosario un tot di volte e il “peccato” è cancellato. Il secondo ci prescriveva qualche decotto o, a peggio, un farmaco. E il sintomo svanisce.

Ma i “segni” degli eventi non svaniscono. Semmai si nascondono in profondità. E più sono profondi e più fanno paura. e più fanno paura e meno ci va di raccontarne la causa. Si tratta di un imbarazzo atavico, di una vergogna che ha attraversato i secoli, le generazioni, a volte i continenti, per arrivare fino a noi. Ovvio che il pensiero di essere quelli che “tradiscono” la legge di famiglia, non ci piace per niente.

Ma se ci pensiamo bene, se ci fermiamo un istante a riflettere, scopriamo che si tratta solo di giudizi, di percezioni, di vissuti interiori. Che, oltre tutto, il più delle volte, non condividiamo. Mi è capitato di incontrare persone terribilmente imbarazzate e piene di vergogna nel raccontare di avi che si sono traditi, abusati, maltrattati e magari uccisi tra loro.

Li ho visti lottare contro i fantasmi, fare una enorme fatica per disfarsi di quell’inutile e, anzi, pericolosissimo fardello. Tutto questo, però, accade in sessioni individuali che spesso raccomando prima di consigliare una costellazione di gruppo. Perché, come spesso accade, parlarne a quattr’occhi con qualcuno che non è né amico né tanto meno parente, modifica il punto di osservazione rispetto all’accaduto.

Senza contare che, sempre, nel cerchio energetico che si crea quando si dà vita a una costellazione di gruppo, sono proprio le energie che muovono gli eventi, non la volontà dei singoli. La costellazione va dove l’energia necessita di essere plasmata, rimodellata, fatta fluire, potenziata o alleggerita. Senza alcun bisogno che chiunque racconti alcunché dei propri fatti.

Come nella vita di ogni giorno, essendo le costellazioni un evento fenomenologico, che accade nel qui e ora, le cose accadono. E a noi non resta che prenderne atto. Con l’enorme differenza che si agisce in un campo neutro, parallelo. Privo di giudizio e di verità assolute.

Tutti abbiamo una storia da raccontare. Tutti siamo il prodotto di un’intricata rete di immagini, visioni, speranze, delusioni, emozioni, esperienze, dolori, fallimenti, ma anche gioie, felicità, soddisfazioni. Le esperienze ci connettono gli uni con gli altri. Condividerle significa comprendere nelle ossa che “siamo tutti sulla stessa barca” e che la più potente terapia al mondo è l’amore.

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