
CELO CELO MANCA. E INTANTO…
Ci sono luoghi. E ci sono personaggi.
Ci sono luoghi tangibili (case, prati, boschi, strade…) e luoghi intangibili (il cielo, i campi elettromagnetici, internet…).
A proposito di internet.
Ho assistito negli ultimi giorni a un abbrutimento generale sui feed in particolare di facebook. Male parole dentro bacheche sulle quali mai mi sarei aspettata di leggerle. Termini pesanti, schieramenti preoccupanti. Sovrabbondanza di cliché (sì sì, più del solito), con tanto di invocazioni al bene del “prossimo” e contestuali auguri di malasorte a un prossimo “diverso”, a seconda dello schieramento, appunto. Squadre di calcio, schieramenti politici, emigrati e immigrati, yes-vax e no-vax, pro-Israele e pro-Palestina, etero e omo. Non ci facciamo mancare nulla.
Torno un istante ai luoghi.
Ci sono luoghi, tangibili o intangibili poco importa, in cui ci si spartiscono pezzi di Terra (la maiuscola è voluta) come fossero figurine della Panini. Personaggi che comprano e vendono questi pezzi di Terra con tutto quello che contengono. “Vivo, morto o X”, scusa Luciano.
L’unico scopo è il potere. Il potere è dato dal denaro. Il denaro si accumula speculando.
Per speculare occorre conoscere, prevedere, misurare, governare, controllare.
Il controllo garantisce il potere. Quasi sempre. (la natura contempla i margini di errore, che a certi fenomeni della specie umana a volte sfuggono). Controllare significa lavorare sistematicamente per modificare a nostro piacimento una condizione che riteniamo non sia in linea con i nostri desideri. E a chi piacerebbe lavorare a vuoto o, peggio ancora, per niente?
Torno un istante sull’argomento speculazioni.
Ci sono speculazioni, per così dire, dirette (borse, mercati…) e altre che mi permetto di definire indirette e senza dubbio più pericolose.
Queste ultime trovano dimora nei possedimenti di carta e di etere dei tycoon dei mass e dei social media. E qui mi riaggancio al “prossimo”, ai cliché e alle speculazioni. Perché sui cliché che riguardano gli altri (chi non è noi, la nostra famiglia, il nostro gruppo, la nostra tribù), di personaggi che speculano -letteralmente- ne abbiamo. Eccome.
Non mi interessa fare esempi: basta far buon uso della “rete” e andarsi a cercare un po’ di nomi e cognomi degli speculatori della comunicazione e poi provare a unire i puntini, così, per farsi un’idea.
Ci sono cliché che potrei definire innocui, che non si attaccano alle pareti emotive del nostro essere ma navigano a vista e tornano utili al bisogno.
Altri, invece, hanno un effetto colesterolo. Si avviluppano alle arterie delle nostre emozioni e pian piano rallentano il flusso e impoveriscono l’intelletto.
Questi sono i cliché dei titoli dei giornali, dei tele-giornali, dei web-giornali, dei parrucconi del web e della Tv, quelli delle ospitate, quelli che chiamIamo “tecnici” o “esperti” o “massime autorità in materia di”, quelli che ostentano saperi a noi poveri mortali inaccessibili e che sono in realtà vassalli (a loro insaputa, si spera) di signori e signorotti abbarbicati al loro parruccoso feudalesimo mentale patricentrico ammuffito (mi vengono in mente gli ominicchi e surrogati di Sciascia),
Il punto è che, a forza di starli a sentire, anche distrattamente, queste ipotesi di giornalisti ed esperti sotuttisti, rischiamo davvero il colesterolo emotivo. E poi è normale che ce ne usciamo con offese, male parole, piccoli diverbi da cortile che ci distraggono da qualcosa di più importante: le nostre vite. La nostra vita. La tua vita. La mia vita. La vita di una nazione, della sua cultura, della sua bellezza, delle sue ricchezze intrinseche, tangibili e intangibili. Siamo al punto della trave e della pagliuzza.
Personalmente, mi indigno molto a esser costretta a subire attacchi massivi di notizie in cui i cliché negativi imperversano e mi sovrastano, generando in me un senso di instabilità, di pesantezza, di impotenza che si trasforma in un tratto di ansia costante, così sottile che a volte stento a riconoscerlo e do la colpa -a caso- al ciclista che pedala beato al centro della carreggiata con gli auricolari e il volume a palla, all’automobilista che fiata sul mio collo perché lei/lui (ma più lei, ultimamente) non ha tempo da perdere, al mio compagno che ha la benedizione di essere capace di lasciare i piatti nel lavabo dopo cena (io no, invidia!).
Cado in trappola, insomma, e penso che a farmi saltare i nervi siano queste nullaggini quotidiane. Così, a volte, accade che discuto pensando di essere davvero inviperita per “questa cosa qui” e poi, mentre sono lì a cercare di far sfumare la rabbia in un modo o nell’altro, mi rendo conto che ciclisti, automobilisti, compagni, figli, madre, padre, figlio, mogli, mariti, il capo, la cassiera, il benzinaio, il commercialista (parliamone. Anzi, no!) stanno a mollo nella stessa melma mia, dove annaspo anch’io. E allora mi sgonfio.
E torna a farsi strada quel motivetto ansioso che è come la canzone che non ti togli più dalla testa. Tanto vale cantarla ad alta voce, così magari si esaurisce da sé. Proprio come adesso.
Ché nemmeno mi ricordo più perché m’è venuto da scrivere questa cosa qui.
Ma d’altronde ho appena visto il tiggì.